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Bombardamenti 1943 1944

Recco

I Bombardamenti di Recco: le immagini di una città rasa al suolo

Il rapporto degli Inglese sul primo bombardamento

10 Novembre 1943
Recco prima incursione aerea ore 22.07

Sei dei nostri aerei sono stati inviati ad attaccare il viadotto ferroviario di Recco, che è l'obiettivo di questa notte. Il bersaglio è stato chiaramente identificato nel brillante chiaro di luna e con l'aiuto dei bengala.È stato riferito che alcuni colpi hanno centrato il viadotto e parecchi lo hanno mancato di poco.
Da un nostro equipaggio è partita una breve raffica di fuoco verso la parte est del viadotto, dalla quale si sono immediatamente sprigionate scintille verdi e blu, ciò è stato notato da altri equipaggi.Non c'è stata difesa. Tempo: frequenti forti tuoni, nuvole e rovesci a 41° nord che si sono dispersi procedendo verso nord, diventando bello e chiaro sopra il bersaglio con eccellente visibilità. Tutti i sei aerei sono atterrati tranquillamente alla base.
In Public Record Office, Londra, AIR27/1011, N°150 Squadron Operations Record Book 1943, IIM/E 150/5,
Summary of Events, pag. 2.


Il Racconto degli abitanti

Il primo bombardamento, compiuto il 10 Novembre 1943 da una squadriglia di sei aerei della Royal Air Force britannica, fu preceduto dal lungo sorvolo, per circa mezz'ora, di uno degli aerei, senza che venisse segnalato alcun allarme. Tutto era tranquillo nella cittadina: nelle abitazioni, nei locali pubblici, al cinematografo ove si proiettava il film "La primula rossa".
La notte era serena, la luna piena era alta nel cielo e illuminava il mare, la costa, il paese, le colline. La luminosità aumentò allorquando, iniziando l'attacco, gli aerei liberarono grappoli di bengala dalla luce intensissima. Sorvolando Recco da levante a ponente, uno dopo l'altro gli aerei, in un carosello che si prolungò per quaranta minuti, sganciarono il loro carico di bombe, cercando di centrare il viadotto ferroviario (che subì pochi danni) e colpirono a morte il paese. Nessuna reazione fu messa in atto per contrastarli. Alle 22,50
circa, come dettata dalla regia di uno spettacolo pirotecnico, una lunga sventagliata luminosa di proiettili traccianti sparsa sulla valle concludeva l'attacco.

Le due incursioni successive - il 26 novembre e il 27 dicembre del 1943 -ebbero caratteristiche diverse. Si trattò, infatti, di bombardamenti "a tappeto" ed ebbero luogo in pieno giorno. Squadriglie di bombardieri statunitensi giunsero indisturbate dal mare e, prima di imboccare con rombo assordante la vallata, lasciarono cadere su Recco contemporaneamente, in un solo passaggio, il loro terribile carico di distruzione e di morte.
Le incursioni che seguirono, sino all'agosto 1944, furono di portata minore e colpirono una terra ormai devastata e sconvolta, sulla quale si ostinava a resistere, colpito, danneggiato, rabberciato di volta in volta, il viadotto ferroviario, obiettivo di tanto accanimento: sino a quando anch'esso fu ridotto a una serie di moncherini di pietra e mattoni che si ergevano su una landa di macerie.
*tratto dal libro: "Il bersaglio è chiaramente identificato...Recco"

Due testimonianze

«Sono rimasto letteralmente sospeso, con tutta la mia famiglia, per lunghissime ore in un angolo della nostra casa completamente aperta e sventrata. Era rimasta miracolosamente in piedi dopo il bombardamento.
Al primo boato, mia madre, donna energica, ci costrinse tutti a radunarci nel letto delle mie due sorelline di sette e cinque anni. E lì ci trovammo quando la bomba squarciò l'edificio in cui abitavamo. Ho così assistito a ciclo aperto ai cinquanta minuti di bombardamento. Le bombe cadevano in continuazione distruggendo ed appiccando fiamme un po' dappertutto. Successivamente i pompieri, impegnati nell'opera di soccorso ed al recupero di morti e feriti, si accorsero di noi solo alle cinque del mattino. Con le scale ci tirarono giù, impauriti ed infreddoliti, ma tutti salvi. Dopo qualche ora mia madre avrebbe dato alla luce mio fratello Franco, il figlio dei bombardamenti».

«Ero al secondo piano quando ci fu uno scoppio violentissimo. Accecato, a tastoni, scesi un'altra rampa. Ebbi l'impressione che le scale non ci fossero più. Così saltai in strada dalla finestra. Una bomba era caduta sulla scarpata; la terra aveva ostruito l'accesso alla galleria. Mi arrampicai su per la collina e arrivai a Megli, che è posta sul golfo come una specie di balcone. Da lì vidi tutto il bombardamento finché anche Megli non fu colpita. Pensavo ai miei convinto che fossero fuggiti come me. Pensavo al loro spavento nel non vedermi. L'inferno durò quaranta minuti. Poi gli aerei, sparata un'ultima raffica di traccianti, si allontanarono verso il mare. Tornai di corsa in paese. Alle undici ero davanti a casa. C'era un silenzio spettrale. Sotto la luce impietosa della luna si vedeva la strada ingombra di corpi. C'erano anche i miei genitori e mio fratello, falciati dalle schegge di una bomba, riversi sull'asfalto con una dozzina di persone. Vicino a loro vidi una
ragazza che abitava nella nostra stessa casa. Aveva la gamba destra tranciata all'altezza del ginocchio. Mi tolsi la cintura dei pantaloni e gliela strinsi intorno alla coscia. Poi, imbambolato, mi misi ad aiutare gli altri. Non c'era altro da fare, tutti in quel momento si aiutavano. Solo molto più tardi, verso la fine di quella lunga, confusa e disperata notte tornai a casa, presi alcune lenzuola e, confortato da un vecchio amico che oggi non c'è più, raccolsi i miei e li sistemai nell'atrio. Per riuscire a seppellirli impiegai tre giorni».

* tratte da L'ardiciocca: a compagnia di Recchelin


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